Istruzione - La Questione Universitaria

Articolo 33
L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.


Se si vuole contestare l’impostazione privatistica dell’istruzione data da Tremonti e Gelmini, credo sia opportuno interrogarsi sulle ragioni di fondo che hanno portato alla crisi della scuola e dell’università pubblica, e cercare di attrezzare una risposta adeguata alla fase storica in cui ci troviamo.
L'università italiana nel sec. XX ha avuto un compito nazionale di vertice. Ad esempio per le materie umanistiche serviva, oltre che a produrre delle classi dirigenti, alla formazione dei docenti e tramite loro dei cittadini. Le materie scientifiche, invece, erano finalizzate a formare le élites produttive e alla ricerca tecnologica.
Dietro c'è l'impostazione di Gentile - che non è stata mai riformata del tutto - ossia un'idea di trasmissione a piramide del sapere, nella quale la scuola aveva il compito ben preciso di scrematura tra classe dirigente e resto del paese. Questa trasmissione si è interrotta nel tempo, per tanti motivi, e in parte è un segnale molto positivo, anche perché la democrazia ha comportato una maggiore eguaglianza delle opportunità, ma in parte il cambiamento ha comportato una dimensione problematica, che nemmeno quest'ultima manovra del governo mette sul tappeto: la scuola non ha opportunità di conoscere la ricerca mentre la ricerca accademica è spesso autoreferenziale perché si rivolge ormai ad un pubblico ristretto di specialisti; si è spezzato il circuito scuola-università-scuola assieme a quello sapere-politica.
Anche da qui si deve partire se si vuole restituire un ruolo alla formazione pubblica, che sia integrata col mondo del lavoro e le imprese.

Per vari motivi, l’università non si è adattata al cambiamento del paese e alle sue trasformazioni post-industriali. L’ineludibile riforma dei meccanismi concorsuali aiuterebbe forse a correggere alcune storture, ma non inciderebbe granché sulle ragioni di fondo del declino dell’università. Nelle condizioni attuali creare dei "centri di eccellenza" - come si pensa da molte parti -, introdurre modelli "competitivi" tra le università e orientare così i meccanismi di reclutamento non solo non risolverebbe la questione del rapporto università-paese ma tenderebbe a riportarla nei binari piramidali di Gentile. (Ad esempio, i centri di eccellenza, o le università di "serie A", tenderebbero a colonizzare le altre e quindi a riprodurre le proprie logiche interne su scala nazionale).
Personalmente ritengo che in una società della conoscenza non si possa più tornare a quel modello, senza gravi effetti sul paese.
L'autonomia delle università, specie se serve a sostenere modelli pluralistici e anche differenziati territorialmente, per aree tematiche o specializzazione disciplinare, non mi pare sbagliata. Se non ha funzionato sinora ciò dipende probabilmente anche dal fatto che i suoi modelli organizzativi e culturali sono sinora stati ricondotti entro i canali piramidali di cui dicevo prima, provocando distorsioni plateali non solo nel reclutamento ma anche nella formulazione dei corsi di laurea, ecc.
Credo che da questa impostazione derivi anche la valutazione del ruolo dello Stato, del rapporto pubblico-privato, ecc. Ridurre questo tema alla difesa dell'esistente rischia di portarci tutti indietro;
date le condizioni attuali bisognerebbe cominciare a fare proposte di cambiamento che investano l'intero sistema della formazione.

Carlo Spagnolo

Il dialogo

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